COME
I CAPPONI DI RENZO…
2 agosto 2007 a cura di Cristina Marello
I famosi pennuti di manzoniana memoria, si beccavano tra loro anziché
far fronte comune contro la malasorte. E a leggere certe notizie, titolate
a piena pagina, vien da pensare che si voglia condurre produttori agricoli
e consumatori a seguirne il comportamento e, chissà, a condividerne
la sorte.
Lunedì 23 luglio il grido di allarme si leva dai principali quotidiani
d’Italia “Allarme a tavola. Rincari in arrivo”. E leggiamo
dati e cifre di rincari vertiginosi sulle materie prime agroalimentari:
grano, latte, ortofrutta, tutto alle stelle! Una mazzata per il settore
della trasformazione, una stangata in arrivo per le famiglie. Già,
perchè alla fine del processo di trasformazione, tra farina rincarata
del 60% (!!!), latte e burro pagati a peso d’oro, marmellate a base
di frutta aumentata dal 70 al 100% (???) uno snack avrà, oltre
la forma, pure il costo di un lingotto!
Di chi è la colpa? Degli avidi produttori ovviamente. E poi del
biodiesel (?!?) che, per colpa di quei visionari fissati con l’effetto
serra, dovrebbe sostituire i carburanti di origine petrolifera, ma che
fa lievitare vertiginosamente i costi di produzione (?!?) e, di rimando
ricade sulle spalle del consumatore finale. E poi ancora la siccità
e le alluvioni. Insomma o non piove o piove troppo, questi agricoltori
non sono mai contenti!
E allora che fare? Per esempio si potrebbe chiedere a un qualsiasi produttore
italiano di mostrarci una fattura di vendita del suo frumento. E tanto
per farci un’idea dei rincari chiediamogliene una di dieci o venti
anni fa. Anno 2007: euro 17,50, euro 20,00, euro 15,00 al quintale…
ecco i prezzi che vediamo, a seconda della varietà e della qualità.
Per curiosità possiamo chiedere i prezzi del frumento negli anni
’80: all’epoca si andava dalle 34.000 alle 36.000 lire al
quintale. Eppure il pane vent’anni fa lo si pagava mille lire al
chilo e oggi si aggira sui quattro euro. Come sarebbe? Evidentemente il
prezzo della farina e il prezzo del pane non vanno di pari passo.
E guardiamo la frutta, magari le pesche che proprio in questi giorni si
stanno raccogliendo in tante parti d’Italia. Andiamo dai 25 centesimi
ai 50 centesimi a seconda della qualità e della varietà.
Prezzi pagati al produttore. Però ci sono le avversità climatiche
che fanno schizzare i prezzi alle stelle, giusto? Andiamo a vedere a Lagnasco
o a Verzuolo, zone a forte produzione frutticola in provincia di Cuneo,
in questi giorni, dopo che il cielo si è accanito con vento e grandine.
Chiediamo a un produttore qualsiasi se le sue pesche hanno avuto un impennata
di prezzo alla vendita. O chiediamo agli orticoltori delle piane del Tanaro,
se dopo tanta siccità e tanto lavoro per irrigare le colture, i
loro meloni spuntano prezzi migliori. La grande distribuzione non chiuderà
i battenti se la produzione agricola italiana è stata scarsa, questo
è ovvio. E solo gli ingenui possono ancora credere che il prezzo
lo faccia il produttore.
E’ possibile conoscere i prezzi all’origine o si tratta di
informazioni top secret? In realtà sono dati semplici e accessibili
a chiunque. I listini sono pubblici e raccontano una realtà ben
diversa da quella che certa stampa racconta. Una svista, un errore, malafede
o semplice ignoranza? Quale sia il motivo di tanta disinformazione non
è dato sapere, si può però ipotizzarne le conseguenze.
A settembre, al ritorno delle ferie, quando le famiglie andranno alla
cassa del supermercato e scopriranno che tutto è rincarato, si
ricorderanno degli agricoltori nostrani e del loro grano caro come il
fuoco. Una strategia ottima con tanto di capro espiatorio nel caso qualche
pollo da spennare si mettesse in testa di protestare.
L’agricoltura italiana lotta con tutte le sue forze per sopravvivere
con dignità, quella dignità proviene dall’offrire
un prodotto sano e di qualità e a richiedere per questo un giusto
compenso. Quella dignità che manca invece a chi continua a limare
i costi di produzione usando materie prime sempre più infime e
scadenti, studiando sistemi per impiegarne sempre meno all’interno
delle sue ricette, e sostituire uova, latte e farina con succedanei d’ogni
tipo purchè poco costosi. Quella dignità che manca a chi
non si fa scrupolo di sfruttare i popoli più poveri per ottenere
lavoro e merci a prezzi risibili e rivenderli nei Paesi ricchi con profitti
incalcolabili.
A ben pensarci quello snack, quella torta, quella pagnotta, che ci attirano
invitanti dai banchi del supermercato sono così infarciti di molecole
di sintesi, additivi, conservanti, coloranti, residui di pesticidi (vietati
in Italia da decenni, rivenduti ai Paesi in via di sviluppo e impiegati
sulle colture i cui prodotto noi importiamo di nuovo a casa nostra) che
in effetti, a ben pensarci hanno davvero un costo altissimo. Un costo
che noi non paghiamo alla cassa, ma che scontiamo sulla nostra pelle pagandolo
in salute e ambiente. A volte alla cassa si sente circolare la battuta
“fra un po’ dovremo fare un mutuo per venire a fare la spesa”.
In realtà lo stiamo già facendo, a mangiare certa roba abbiamo
già acceso un’ipoteca bella grossa sul nostro futuro.
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