LA
BUTTERATURA AMARA DELLE MELE
10 settembre 2007 a cura di Cristina Marello
La butteratura amara
delle mele rientra nella categoria delle fisiopatie o delle malattie fisiologiche.
Si tratta di un’alterazione, di origine non parassitaria, che colpisce
i frutti delle pomacee. Si manifesta con la comparsa di grumi di tessuto
lesionato e suberificato, di dimensione di alcuni millimetri e posizionati
nella polpa del frutto al di sotto della buccia. Esternamente è
possibile vedere, in corrispondenza di queste lesioni, lievi affossamenti
con imbrunimento del tessuto. Nella maggioranza dei casi questi grumi,
di gusto amarognolo, sono localizzali nei pressi della fossa calicina,
nella parte distale dal picciolo.
Questa fisiopatia si può manifestare già in campo, ma è
frequente che compaia e progredisca anche in fase di conservazione in
magazzino.
Dall’analisi chimica e microbiologica dei tessuti alterati, si rileva
l’assenza di organismi patogeni sui frutti colpiti, emerge invece
una forte carenza in calcio. Questo ci dice che si può escludere
l’origine parassitaria. E’ possibile dunque che sia la carenza
in calcio a causare la butteratura amara? Per rispondere a questa domanda
occorre sapere a che cosa serve il calcio nelle piante.
Il calcio svolge diverse funzioni nell’organismo vegetale a livello
cellulare: rientra come componente nella parete cellulare, si lega alle
pectine formando i pectati di calcio che a differenza delle prime sono
insolubili, forma cristalli di ossalato di calcio che svolgono la funzione
di tamponare l’acidità, regolando così il ph. Interagisce
nella stabilità delle membrane cellulari, regola il trasporto dei
carboidrati e interviene nella mitosi.
Poiché non si limita a svolgere un’azione regolatrice, ma
anche costitutiva nei tessuti vegetali, il calcio è presente nelle
piante in grande quantità (all’incirca 5 ppm, la metà
rispetto al potassio e oltre il doppio rispetto al fosforo) rientrando
così a pieno diritto nella categoria dei macronutrienti, che sono:
azoto, fosforo, potassio, calcio, magnesio e zolfo. Quando la presenza
di calcio è insufficiente a soddisfare i fabbisogni fisiologici
della pianta, tutte le funzioni legate a questo elemento vengono alterate
o cessano del tutto. In particolare l’indebolimento delle pectine
a causa della mancata salificazione con il calcio, può scaturire
nel collasso delle strutture cellulari e da lì la formazione delle
classiche lesioni di tessuto necrotico nella polpa dei frutti.
Le cellule e i tessuti vegetali vengono costantemente riforniti degli
elementi dei quali abbisognano attraverso il sistema circolatorio delle
piante. La linfa grezza sale dalle radici alla parte aerea trasportando
acqua e sali minerali, attraverso i cosiddetti vasi xilematici: si tratta
di una “corrente” veloce e tumultuosa che trasporta tutto
ciò che i vasi piliferi assumono dalla soluzione circolante del
suolo. La linfa elaborata, ricca degli zuccheri prodotti con la fotosintesi,
scende attraverso i vasi floematici in una lenta corrente che giunge in
maniera capillare a tutte le parti dell’organismo.
Il calcio, assorbito dalle radici, è un elemento estremamente solubile,
e la veloce corrente xilematica lo trasporta con facilità sulle
lunghe distanze. Molto più difficoltoso e lento è il trasporto
a mezzo della corrente floematica. Da ciò possiamo dedurre che
l’approvvigionamento di calcio è tanto maggiore dove il flusso
xilematico è forte. E dato che il motore della corrente linfatica
ascendente è la traspirazione, possiamo desumere che i tessuti
giovani e in crescita (germogli, apici vegetativi) siano quelli meglio
riforniti in calcio, a differenza invece dei tessuti più vecchi,
degli organi in maturazione o senescenti (frutti), che traspirano meno.
Possiamo quindi ipotizzare che la butteratura amara, pur legata alla mancanza
di calcio nei tessuti, non sia dovuta a una vera e propria carenza, bensì
a una sua squilibrata distribuzione nella pianta.
Ma quali possono essere i fattori predisponenti?
Possiamo riassumerli in quattro punti:
o Terreni acidi: la carenza di calcio nel suolo è poco comune nei
suoli agrari del nostro Paese, ma può accadere che il calcio sia
scarsamente presente oppure sia fissato in forme insolubili;
o Carenza idrica: l’acqua veicola il calcio nella pianta, la carenza
idrica rallenta la circolazione linfatica e il trasporto degli elementi
ai tessuti vegetali;
o Lussureggiamento vegetativo: la spinta vegetativa dei germogli in crescita
esercita un forte richiamo per la linfa grezza a scapito di organi meno
traspiranti come i frutti;
o Forte presenza di Potassio, elemento antagonista del Calcio
La situazione più predisponente in assoluto è una combinazione
di questi fattori, in particolare del secondo e terzo. E’ il caso
tipico di adacquamenti abbondanti ad ampi turni. Le piante sotto la spinta
di cospicue irrigazioni, sviluppano una chioma lussureggiante capace di
richiamare agli apici la linfa grezza in grande quantità e di smaltire
in fretta l’acqua in eccesso attraverso gli stomi. A mano a mano
che l’umidità del suolo si abbassa tra un turno e l’altro,
la competizione interna si accentua e gli organi più traspiranti
hanno la meglio sui tessuti più vecchi nel richiamare a se la linfa
grezza. I frutti, in particolare i tessuti più anziani dei frutti
(quelli nella parte distale del picciolo) sono i primi a farne le spese.
Il ridotto afflusso di linfa grezza comporta un minor apporto di calcio
e le cellule vanno incontro a collasso con la formazione del sintomo classico:
la butteratura amara sulle mele, ma anche il marciume apicale sul pomodoro
e il disseccamento del rachide a carico della vite.
A differenza del calcio, il potassio viene ben veicolato dalla linfa elaborata
perciò subisce molto meno gli effetti delle fluttuazioni idriche,
poiché è legato alla traslocazione ed accumulo degli zuccheri,
la sua presenza nei frutti è elevata, soprattutto con l’approssimarsi
della maturazione. In caso di scompensi nella circolazione xilematica,
il potassio può accentuare le problematiche legate alla carenza
in calcio poiché i due elementi sono antagonisti.
Come possiamo vedere la fisiologia vegetale è piuttosto complessa:
non è sufficiente un solo fattore a scatenare una grave alterazione,
di norma una serie di fattori si uniscono sinergicamente a scatenare la
problematica. E questo è il caso della butteratura. A questo aggiungiamo
anche la sensibilità varietale, per cui abbiamo soggetti piuttosto
tolleranti ed altri invece ipersensibili, come la Renetta del Canada,
per citare un esempio.
In ultima analisi è possibile ricorrere a rimedi estemporanei che
in mera veste di palliativo, possono alleviare il sintomo: si tratta di
irrorazioni fogliari a base di ossido o cloruro di calcio sulla coltura,
se non addirittura in post-raccolta, dato che l’alterazione può
progredire anche in magazzino con bagni in acque di lavaggio addizionate
con CaCl al 4%. Si cerca di apportare dall’esterno, ciò che
internamente viene a mancare. Non si nega affatto l’utilità,
seppur parziale, di questi interventi, ma dobbiamo ricordare che l’insorgenza
di butteratura è il campanello d’allarme di un disagio, di
un malessere dell’organismo vegetale. E combattere il sintomo non
cancella il problema. Occorre salvaguardare la coltura dagli sconvolgimenti
della sua naturale ciclicità, allontanare i fattori capaci di alterare
il ritmo linfatico. Le piante sono esseri fortemente passivi, nel senso
di apertura e recettività al circostante, ma anche fortemente reattivi
nei confronti degli agenti di disturbo. Un animale si allontana da ciò
che lo infastidisce, la pianta non può. Non potendosi spostare
per sottrarsi a ciò che lo danneggia, l’organismo vegetale
reagisce modificando se stesso nei limiti del possibile: aumentando la
superficie fogliare per eliminare gli eccessi idrici, accelerando alcune
funzioni o rallentandone altre.
L’agricoltore può aiutare la pianta cercando di non stressarla
troppo con pratiche colturali innaturali. La scelta di portinnesti poco
affini, così come portinnesti molto vigorosi che poi richiedono
drastici tagli di potatura per contenere la taglia, aumentano lo squilibrio
nella circolazione linfatica. Il suolo lavorato, o peggio ancora diserbato
è soggetto a fortissime fluttuazioni nel tenore d’umidità,
mentre il suolo inerbito costituisce un ambiente molto più equilibrato
in questo senso; in più, il cotico erboso costringe la pianta ad
approfondire l’apparato radicale e le conferisce così una
maggior capacità di approvvigionamento idrico nei momenti di siccità.
Forme d’allevamento rigide e geometriche aumentano la reattività
della pianta nel suo tentativo di fuga, con l’accelerazione della
circolazione xilematica e un grande dispendio energetico e stress generale
per la pianta. Per i frutteti irrigui l’adozione di lunghi turni
con abbondanti volumi d’adacquamento è deleteria, perché
esalta la competitività interna tra organi vegetali, spingendo
il ritmo fisiologico fuori dal suo equilibrio. Ricordiamo che la pianta
è un organismo vivente, non un componente meccanico, e la vita
mal si adatta alla staticità, uniformità e ripetitività.
Quando si parla di equilibrio non pensiamo a un miscuglio di componenti
da bilanciare a tavolino, ma a un continuo e incessante processo di autoregolazione
che scaturisce da forze sinergiche e antagoniste che costantemente si
contrastano o si alleano. La pratica agricola deve sapersi inserire in
questo flusso dinamico e volgere queste forze a proprio favore e non lottare
contro di esse. La tumultuosità vegetativa caotica che ingenera
lo squilibrio linfatico non va ignorata, per esempio irrorando calcio
per non vedere il sintomo. Questa energia squilibrata e autodistruttiva
si può rigenerare e convertire in forza dinamica e vitale, con
le potature in sintonia con i cicli cosmici, con la rivitalizzazione dei
suoli, la cura della biodiversità a livello podologico, la centralità
del cumulo e l’impiego corretto dei preparati biodinamici. Riscoprire
il gesto agricolo come movimento creatore e non distruttore.
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