CIMICE
DEL NOCCIOLO
8 luglio 2007
a cura di Cristina Marello
La cimice del nocciolo
in realtà sono tante cimici. Una pluralità di specie appartenenti
a diverse famiglie di pentatomidi e coreidi che sono individuate quali
la causa del cosiddetto “cimiciato”: un’alterazione
che colpisce il seme delle nocciole e che negli ultimi anni ha assunto
le proporzioni di una vera e propria minaccia alla corilicoltura piemontese.
Si tratta di un’alterazione a carico del seme che si presenta raggrinzito,
con macchie brunastre necrotiche e con un odore e sapore fortemente sgradevoli
a causa dell’irrancidimento della mandorla. A volte si riscontra
anche la presenza di funghi quali ad esempio Nematospora, ma pare proprio
che il responsabile sia lei, la cimice, che quindi si accaparra anche
l’onore di dargli il nome appunto, di cimiciato.
Alcune regioni italiane, tra cui il Piemonte, riservano particolare attenzione
per questa coltura di grande pregio e alcune varietà hanno raggiunto
una meritata notorietà grazie all’impiego nell’industria
dolciaria. L’alta scuola pasticcera non contempla l’impiego
di altri tipi di nocciole se non la TGDL per le indiscutibili superiori
qualità organolettiche e anche i prodotti più commerciali
si fanno un vanto di segnalarne la presenza in etichetta. Quanta parte
di TGDL sia poi effettivamente contenuta in torte e pasticcini industriali,
oltre alle nocciole d’importazione estera, non è dato sapere.
Fatto è che una cospicua fetta di territorio collinare del Piemonte
è investito a nocciolo e in certi areali, quali ad esempio la Langa
cuneese, è di fatto parte costituente del paesaggio stesso.
Le cimici più diffuse sul nocciolo sono sostanzialmente due: il
pentatomide Palomena prasina e il coreide Gonocerus acuteangulatus. Si
tratta di insetti polifagi, presenti endemicamente su tutto il territorio
italiano, che vivono a spese di svariate specie agrarie e forestali. La
cimice del nocciolo compie una unica generazione all’anno. Sono
le forme adulte dell’insetto a svernare al riparo di cespugli, sempreverdi
e coperture erbacee. A primavera, dopo un breve periodo di nutrizione
a spese della vegetazione ospite, le femmine depongono le uova isolate
o in gruppi, sulle foglie e brattee del nocciolo. Le neanidi, ovvero le
forme giovanili della cimice, completano il loro sviluppo nei mesi della
tarda primavera-estate nutrendosi a carico della pianta ospite. Raggiungono
l’età adulta normalmente in piena estate.
Il danno che la cimice provoca sul nocciolo è di tipo prettamente
qualitativo. L’insetto ha apparato boccale pungente-succhiatore
e infligge ai frutti del nocciolo punture di nutrizione con gli stiletti
boccali che infigge nel seme attraverso il guscio. Con la puntura di suzione,
l’insetto inietta della saliva nel seme causando due tipi di reazione:
se si tratta di punture precoci, il seme subisce un aborto traumatico
e alla raccolta si avranno nocciole con il guscio normalmente formato
ma con il contenuto totalmente atrofizzato; nel caso di punture più
tardive il seme completa il suo sviluppo ma presenterà alterazioni
del colore e soprattutto del sapore.
La presenza di cimiciato sul raccolto causa un forte deprezzamento del
prodotto, in effetti addentare un pasticcino ripieno e trovarsi una nocciola
rancida in bocca è un genere di pubblicità che non fa piacere
a nessuno. Ed ecco perciò la soluzione al problema: trattare, trattare,
trattare. E con quali prodotti? La cimice è un eterottero particolarmente
mobile, rustico e resistente, occorrono insetticidi ad alto potere abbattente
contro questo insetto che, ricordiamo, essendo polifago, può vivere
anche su varie altre specie oltre al nocciolo, spostandosi di volta in
volta alla ricerca dell’ospite più appetibile. E allora un
plauso al ritorno tra i principi attivi ammessi all’impiego, bada
bene, in agricoltura integrata, all’endosulfan. E poi a seguire
matathion, fenitrothion, diazinone e tiacloprid. In agricoltura biologica,
tanto per non essere da meno, una miscela di piretro e rotenone potrà
causare altrettanto scempio dell’entomofauna utile e aumentare il
PIL. Già, perché fino a pochi decenni fa, il nocciolo era
una di quelle colture che chiedevano soltanto, si fa per dire, il sudore
della fronte. Ma in pochi anni, l’esercito dei fitofarmaci hanno
conquistato anche questa frontiera e oggi i corilicoltori sono anch’essi
pesticida-dipendenti: dal glufoninate per il diserbo, ai trattamenti autunnali
per preservare il legno, poi l’eriofide a fine inverno da trattare
con acaricidi e ora il cimiciato a giugno. Non pochi poi, sono quelli
che concimano con granulari di sintesi perché si è riusciti
a desertificare persino suoli che dovrebbero essere ricchi in humus quanto
un sottobosco.
Da notarsi la soglia di intervento stabilita nei disciplinari di produzione
integrata: 2 individui per pianta. Quando si tratta di un insetto estremamente
mobile e polifago. Quando esistono ancora molti dubbi sull’identificazione
univoca ed esclusiva della cimice quale causa del cimiciato. Quando non
si conosce ancora con certezza la diretta proporzionalità tra presenza
di cimici sul nocciolo e la percentuale di cimiciato sul prodotto finito.
Pensiamo al costo in termini economici di simili interventi, su una coltura
che richiede alti volumi ed alte pressioni di esercizio, con prodotti
decisamente costosi. Pensiamo al costo, in termini ambientali, della dispersione
di sostanze insetticide ad alto potere abbattente su una coltura arborea
che occupa migliaia di ettari di superficie in ambienti di collina e mezza
montagna tra parchi verdi, aree protette e zone tutelate. Tutto per sterminare
un insetto la cui presenza è endemica sul territorio e che può
tranquillamente spostarsi e continuare a vivere nei prati, negli orti
familiari, nelle nostre case… Due cimici per pianta. Ammettiamo
pure che l’agricoltore o il tecnico per esso, vada effettivamente
a effettuare i controlli per decidere se fare o meno i trattamento (!?!).
Ammettiamo che il trattamento sia efficace e indispensabile. Ma quale
intervento impedirà ad anche una sola cimice di pungere una sola
nocciola su tutto il territorio piemontese? E se il provvido Ambrogio
offrisse proprio quell’infausto cioccolatino alla signora in giallo
di storica memoria? Non avrebbe forse maggior senso prevedere un maggior
controllo delle nocciole in ingresso sulla linea di produzione con l’eliminazione
dello scarto? Questo darebbe davvero la garanzia totale del prodotto finito.
E ridurremmo il debito ambientale che lievita di anno in anno. Ma sposterebbe
anche un costo produttivo dalle spalle degli agricoltori a quelle dell’industria.
E con questo forse si chiude ogni margine di ulteriore ragionamento sul
cimiciato del nocciolo. Lungi dal sottovalutare un problema tutt’altro
che marginale, sarebbe però opportuno dare maggior spazio alle
voci fuori del coro. Una ricerca che punti a trovare soluzioni per tutti
e non soltanto di comodo per chi vuol aumentare il fatturato di pesticidi
e per chi vuol pretesti per deprezzare il prodotto all’atto del
ritiro.
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