IL
MELONE
10 luglio 2008 a cura di Cristina Marello
E’ nella famiglia delle
cucurbitacee che troviamo i frutti più grossi di tutto il regno
vegetale. Si tratta di piante potenti che assorbono acqua e calore con
voracità e che si legano profondamente alla materialità
del suolo, della sua matrice organica e umica. Per questo, pur essendo
piante dotate di enorme forza e vigoria, le cucurbitacee non sfuggono
alla terra e all’acqua ma si arrotondano in forme arrotondate che
non aspirano alla verticalità. Il calore e la solarità si
concentra nei fiori e nei frutti, e si conserva nei semi, abbondantissimi.
I frutti delle cucurbitacee trattengono sempre un aspetto erbaceo, acerbo,
giovanile ed è proprio il melone, con l’anguria, a rappresentare
un eccezione per il forte metabolismo zuccherino che rende la polpa così
dolce e appetibile.
Il melone, particolarmente nelle varietà arancioni, contiene numerose
sostanze antiossidanti, soprattutto beta-carotene. Pur trattandosi di
un frutto molto acquoso, vanta un contenuto in Vitamina A superiore a
5.000 U.I: per fare un paragone, la maggioranza degli altri frutti e verdure
hanno un contentuo che si misura nell’ordine di alcune centinaia
di unità, fanno eccezione le carote (oltre 20.000) vari frutti
esotici come papaia, ananas e mango (alcune migliaia), rape e spinaci
(poco più di 4.000). Contiene inoltre molto potassio e acido folico
(vitamina B9), quest’ultimo estremamente importante nei processi
di formazione dell’emoglobina e in gravidanza. Per contro, questa
cucurbitacea non sempre è ben tollerata da tutti e sono in aumento
i casi di intolleranza alimentare. Esistono anche molti casi in cui la
semplice ingestione dell’alimento non è sufficiente a produrre
la sintomatologia clinica ma devono concorrere alcuni fattori accessori,
ad esempio un’intensa attività fisica in prossimità
dei pasti. Il melone non è ai primi posti tra i frutti causa di
allergie ma presenta reattività crociate con chi ad esempio risulta
ipersensibile a composite e graminacee. Discorso a parte da fenomeni di
tipo allergico, è invece la digeribilità. Purtroppo l’odierna
tecnologia ha stravolto a tal punto i processi produttivi da rendere alimenti
da sempre consumati dall’uomo, così diversi da quelli conosciuti
e riconosciuti dal nostro organismo, da essere rifiutati o mal tollerati
da esso. Nello specifico sono ad esempio la catena del freddo, che consente
di raccogliere i frutti non al momento della maturazione rendendoli più
adatti alla conservazione e trasporto, ma certo non consoni al consumo
umano. La pratica di campo, con l’impiego massiccio di fertilizzanti,
aumenta considerevolmente il livello di nitrati nella polpa, e questo
è deleterio per la salute umana, al punto che esistono normative
specifiche che ne limitano il contenuto al di sotto di una soglia di pericolosità.
Infine le importazioni hanno fatto perdere il senso della stagionalità
alle persone. Possiamo andare a fare la spesa e trovare qualsiasi frutto
in qualunque mese dell’anno, ma nonostante l’aria condizionata
e il riscaldamento, il nostro corpo non è slegato dai cicli annuali
e ciò che può ben tollerare e gradire a luglio, potrebbe
non essere altrettanto ben accetto dal nostro stomaco sulla tavola imbandita
per Natale. Anche l’abitudine di consumare il melone molto freddo
non aiuta anche, innegabilmente, ciò appaga il nostro palato. Una
curiosità, avvolta tra storia e leggenda ma comunque significativa
ai nostri fini, è la presunta morte di Alfonso I d’Este (duca
di Ferrara, Modena e Reggio dal 1505 al 1534) a causa di una indigestione
di meloni.
Le origini del melone (Cucumis melo) sono antichissime ma piuttosto incerte.
Secondo Linneo e De Candolle la specie sarebbe originaria dell’Asia
centrale, mentre, secondo altri studiosi, è più probabile
che provenga dalle zone tropicali e sub tropicali dell’Africa, dalle
quali si sarebbe diffusa in seguito in India, in Cina e in tutto il Medio
Oriente, giungendo infine nel bacino del Mediterraneo. Solo successivamente,
da qui, sarebbe stata introdotta in America. Nel nostro Paese il melone
sarebbe stato introdotto nell’antichità, probabilmente nel
I secolo a.C., come dimostrano alcuni dipinti raffiguranti poponi rinvenuti
negli scavi di Ercolano. Il primo autore a segnalarne la presenza in Campania,
denominandolo melopepaes, è Plinio, il quale racconta che il frutto
era particolarmente gradito all’imperatore Tiberio. In Italia quindi
la coltivazione del melone ha tradizione molto antica e radicata, al punto
da diventare il simbolo delle province di Ferrara, Modena e Bologna.
Il panorama varietale del melone è estremamente vasto: tra varietà,
cultivar e ibridi selezionati, esiste un’ampia possibilità
di scelta tra forme, colori, produttività, pezzatura, serbevolezza,
precocità e resistenze ai patogeni.
Ecco qui di seguito una breve panoramica delle selezioni certificate bio
e biodinamichecon le caratteristiche principali:
-Melone Cantalupo di Charentais: varietà molto precoce, adatta
per serra e pieno campo, il frutto è tondo e di media dimensione
(1 kg circa), buccia liscia e sottile di colore giallo-verde, con coste
poco marcate. Polpa arancione molto serbevole e profumata;
Melone Tendral verde: frutto ovale di grandi dimensioni (2 kg circa) con
buccia dura e rugosa di colore verde scuro. Molto conservabile
Melone Troubadour: frutti tondi di dimensione media (1 kg), varietà
precoce
Melone arancino: frutti piccoli e sferici (600-800 gr) con buccia finemente
retata, polpa arancio intenso, dolcissima.
La vastissima gamma di selezioni idride che, ricordiamo, non consentono
l’autoproduzione di semente, comprende numerose tipologie, soprattutto
riconducibili alle tipologie Harper e Supermarket che presentano caratteristiche
di resistenza a vari patogeni:
Macigno ibrido ovale per coltura protetta, polpa gialla di colore intenso,
resistente a Fusarium e oidio;
Derby: frutto retato-solcato con buccia verde-chiaro e polpa consistente,
ciclo tardivo per coltura protetta, resistente a Fusarium e oidio;
Romolus: frutto tondo-ovale, molto produttivo, medio precoce e adatto
per coltura protetta, resistente a Fusarium, oidio e afidi;
Auriol: tipologia charentais, con frutti tondi e lisci di colore verde
scuro, molto aromatico e zuccherino, resistente a Fusarium, oidio e afidi,
sensibile agli sbalzi idrici è molto soggetto a fessurazioni;
Delizia: spiccata precocità in pieno campo, frutto ovale, giallo
paglierino con retatura marcata, resistente a Fusarium e oidio;
Greystone: ciclo tardivo in pieno campo, frutto verde-grigio ovale, produzione
abbondante e regolare, resistente alle fessurazioni da siccità,
a Fusarium e oidio.
La semina non presenta particolari
difficoltà poiché il seme germina facilmente. Si può
effettuare la semina diretta posizionando due o tre semi per buchetta,
direttamente in campo, oppure preparare i piantini in semenzaio ed effettuare
in un secondo tempo il trapianto. Secondo la concezione biodinamica, il
melone è una pianta da frutto e in tal senso si avvantaggia di
semine e raccolta effettuate in giorni di frutto, mentre le lavorazioni
e le cure colturali vanno effettuate in giorni di fiori.
La coltura occupa il suolo per un periodo che va dai 120 a 200 giorni,
pertanto la gestione delle malerbe va pianificata con cura in quanto a
pieno sviluppo diventa difficoltoso effettuare la scerbatura senza danneggiare
la pianta. La pacciamatura con teli plastici consente sia di gestire le
infestanti, sia di mantenere sani e puliti i frutti che non vengono così
a contatto con il suolo. Il melone sfrutta bene la fertilità dei
suoli organici purchè non si tratti di concime organico fresco,
in tal caso si induce una caotizzazione del ciclo dell’azoto che
disturba la pianta, creando squilibri e favorendo l’insorgere di
fisiopatie (spaccature dei frutti, marciume apicale) e di malattie fungine
e batteriche. Per sostenere la produzione (il carico ideale di frutti
dovrebbe essere compreso tra 2 e 6 chili per non avere scadimenti qualitativi
in termini di dimensioni del frutto, colorazione e serbevolezza della
polpa) occorre provvedere a un’irrigazione frequente a volumi ridotti
in modo da non creare pericolosi ristagni idrici. Può essere utile
provvedere alla cimatura dei primi germogli in modo da favorire l’emissione
di getti laterali e in tal modo aumentare la produzione di fiori femminili.
Le principali avversità che teme il melone sono l’oidio,
i marciumi del colletto, gli afidi e il ragnetto rosso. Per i funghi tellurici
occorre in primo luogo prevedere ampie rotazioni e prediligere terreni
non pesanti, bensì ben drenati. Una buona vitalità del suolo,
data dall’incorporazione di materiale organico ben compostato, dalla
preservazione dell’humus e dal mantenimento attivo delle popolazioni
microrganiche (gestione oculata delle lavorazioni, copertura vegetale
con sovesci e pacciamatura verde, rotazioni e avvicendamenti) è
la prima azione da fare per impedire il proliferare di crittogame dannose
nei suoli agrari. Ovvio che tutto questo non può essere demandato
a pratiche di breve periodo ma va pianificato a lungo termine come gestione
ordinaria dei campi coltivati. Occorre in secondo luogo partire da materiale
di propagazione sano ed evitare il più possibile forme di stress
alla coltura. Il trapianto va effettuato in luna discendente e si può
fare un bagno di radici in una sospensione ad esempio di fladen per migliorare
l’attecchimento e stimolare la radicazione.
Il mal bianco colpisce l’apparato fogliare del melone fino a provocare
anche la morte stessa della pianta in caso di attacchi gravi. Lo zolfo,
sia in polvere che bagnabile, è molto efficace contro tale fungo
ma, anche se si tratta di un prodotto di copertura è necessario
ricordarsi (anche negli orti familiari) di ripettare il tempo di carenza
che, a seconda del formulato, da va 5 a 7 giorni. Anche il fungo Ampelomyces
quisqualis (commercializzato con il nome di AQ10) svolge un’azione
di contenimento contro l’oidio delle cucurbitacee. Le spore di Ampelomyces
quisqualis che vengono distribuite con il trattamento, una volta a contatto
con il micelio ospite, germinano e danno origine ad un tubetto che penetra
nel micelio dell'oidio parassitizzandolo e conducendolo a morte. Può
avere un’azione di contenimento anche l’impiego di zolfosilice
al dosaggio di 5 gr per 30 litri d’acqua dinamizzati per un’ora
e distribuiti finemente sulla coltura al mattino in una giornata soleggiata.
Per gli attacchi di afidi e ragnetto rosso si possono impiegare ad esempio
il macerato d’ortica, il decotto d’aglio, lavaggi con acqua
fredda (piuttosto efficace contro gli acari), piretro naturale e olio
bianco estivo.
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