I
NEMATODI
6 dicembre 2008 a cura
di Cristina Marello
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Infestazione di Ditylenchus dipsaci su cereali
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Danni da Meloydogine su radici di patata
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I nematodi sono diffusi
in ogni ambiente del nostro pianeta e sono specializzati nella vita parassitaria
non solo a carico delle piante, ma anche degli animali, annoverando tra
i loro ospiti pesci, animali domestici e anche l’uomo.
I nematodi cosiddetti fitoparassiti, cioè parassiti di organismi
vegetali, furono scoperti, quali responsabili di patologie a carico delle
colture agrarie, relativamente tardi, cioè a partire dalla seconda
metà del Settecento, ciò è da imputarsi alle loro
dimensioni estremamente ridotte e alla loro capacità di indurre
alla proliferazione di strutture vegetali anomale nelle quali nascondersi.
I nematodi sono generalmente vermiformi con una lunghezza compresa tra
0,2 e 2 mm e un diametro inferiore ai 100 micron
Attualmente si conoscono oltre 1500 specie di nematodi fitoparassiti,
il danno che causano è di tipo quantitativo e qualitativo a carico
delle colture che infestano. L’azione dei nematodi si esplica a
livello del suolo: i nematodi si nutrono a spese delle radici delle piante:
provocano ferite con il loro stiletto causando un danno diretto a causa
della lesione e a causa della saliva tossica, e aprendo la via per infezioni
batteriche e fungine, inoltre molti nematodi sono vettori di virosi. Vivendo
nel suolo sfuggono facilmente ad azioni di lotta diretta operate dall’uomo,
inoltre possiedono una elevata resistenza alle condizioni ambientali avverse,
superando senza difficoltà periodi di freddo intenso, aridità
e anche assenza di piante ospiti. Sono protetti da una cuticola costituita
da sette strati che offre una efficace protezione anche nei confronti
di sostanze tossiche impiegate ad esempio come geodisinfestanti in agricoltura
convenzionale. A questo si aggiunga poi che i sintomi dell’attacco
sono aspecifici e si manifestano con quella che comunemente si definisce
“stanchezza del terreno”, perciò è frequente
che, al momento dell’individuazione della presenza dei nematodi,
questi abbiano ormai completamente colonizzato e infestato il suolo. Seppure
i nematodi non siano capaci di grandi spostamenti, se non grazie allo
scambio e commercio di materiale infetto, compensano le ridotte capacità
motorie con una elevatissima capacità riproduttiva che li rende
in grado di colonizzare in maniera massiccia i nuovi ambienti. A seconda
delle specie si possono avere una o più generazioni l’anno,
anche se di norma le specie monofaghe (ad esempio Anguina tritici) ne
hanno una sola. Lo sviluppo da uovo a stadio adulto impiega da 3 a 4 settimane
e la femmina adulta è in grado di deporre 500-600 uova, scalarmente,
nel corso del suo ciclo vitale. Ciò significa che in un terreno,
o su una pianta infestata, si possono trovare tutti gli stadi di sviluppo
contemporaneamente.
I nematodi sono in grado di mettere in atto molte strategie per far fronte
e superare le situazioni critiche. Ad esempio possono riprodursi per partenogenesi
(senza l’intervento dell’individuo maschile), accelerando
così la colonizzazione di un nuovo ambiente ma, quando la densità
di popolazione si fa molto elevata o l’ambiente si rende ostile
ecco aumentare la presenza di maschi e di conseguenza il rimescolamento
genetico che aumenta considerevolmente le chanche di sopravvivenza del
pool genetico della specie stessa. In caso di condizioni sfavorevoli le
larve possono rallentare il loro ciclo di sviluppo fino a raddoppiarne
il tempo, se necessario, o addirittura interromperlo trasformandosi in
cisti. Le cisti sono forme larvali che entrano in quiescenza e inspessiscono
e irrobustiscono la loro cuticola: se i nematodi in fase attiva muoiono
a temperature intorno ai 40-42°c, le cisti resistono anche a 70°c.
Anche le femmine adulte possono incistarsi, in tal caso esse si trasformano
in una cuticola di protezione per le loro uova che rimangono vitali ma
quiescenti anche per più di un anno, in attesa del ripresentarsi
di situazioni più favorevoli. Altro sistema di sopravvivenza che
i nematodi possono attuare è l’aggregazione: centinaia di
nematodi si avvolgono strettamente gli uni con gli altri in formazioni
piuttosto grandi, visibili anche a occhio nudo dove gli individui posti
al centro riescono a sopravvivere grazie alla protezione offerta loro
dagli individui più esterni.
Per i loro spostamenti nel suolo i nematodi necessitano di un velo di
umidità tra le particelle e comunque, in assenza di movimenti di
terra, riescono a colonizzare uno spazio di circa un metro di raggio in
un anno. I loro spostamenti sono guidati dalla percezione degli essudati
radicali delle piante ospiti ma i nematodi sono in grado di percepirli
solo quando si trovato a una distanza massima di 2-3 cm dalla fonte di
emissione. L’essudato radicale è inoltre fattore essenziale
per la continuità dei cicli in quanto è la sua presenza
a indurre alla schiusura delle uova.
Tutte le caratteristiche finora illustrate lasciano intuire perché
le infestazioni di nematodi avvengano con lentezza e abbiano di norma
una lenta ma inesorabile espansione a macchia d’olio nei campi e
nei terreni coltivati.
La loro lenta capacità di diffusione, ma anche la loro grandissima
resistenza ai mezzi di lotta attuabili nel terreno fornisce già
utili indicazioni sulle strategie di difesa efficaci.
Pur sembrando il solito banale consiglio la prima strategia di lotta contro
i nematodi è un razionale piano di rotazione, non per niente i
primi gravi attacchi di nematodi si registrano con l’impulso innovatore
dell’800 che in agricoltura portò all’abbandono delle
tradizionali tecniche di avvicendamento e del maggese a favore della monocoltura.
Fu proprio nel 1870 che si riuscì a identificare per la prima volta
il nematode della barbabietola Heterodera schachtii i cui attacchi distruttivi
in Germania costrinsero all’abbandono della coltura e alla chiusura
degli zuccherifici con drammatiche conseguenze per le famiglie degli operai
di quegli stabilimenti.
L’identificazione dell’agente di malattia è sicuramente
un’informazione utile per impostare una razionale difesa ma può
anche essere la scusa ideale, il capro espiatorio per evitare di mettere
in discussione l’intero sistema di coltivazione e concentrarsi invece
sulla distruzione con mezzi di sintesi del nematode imputato del danno.
L’insorgenza di attacchi di nematodi sono riconducibili all’impiego
di materiale già infetto (tuberi, bulbi, talee, semi,…) e
più frequentemente all’impoverimento del suolo dovuto all’abbandono
delle rotazioni e alla distruzione della sostanza organica. Numerosa bibliografia
conferma che l’elevata presenza di sostanza organica riduce il numero
di nematodi fitoparassiti. Ciò è da mettersi in relazione
all’effetto ammendante dei colloidi sulla struttura e tenacità
del suolo e alla presenza di composti liberati dalla sostanza organica
in decomposizione che hanno un effetto tossico sui nematodi stessi. Molte
piante spontanee emettono essudati radicali tossici nei confronti di numerose
specie di nematodi fitoparassiti ( Rotylenchus, Pratylenchus, Paratylenchus,…)
di colture agrarie, possono anche svolgere un’azione schermante
ostacolando con i propri essudati la percezione di quelli delle piante
ospiti da parte dei nematodi stessi siano essi a livello di uovo (e quindi
ostacolandone la schiusura) o di larva impedendole la localizzazione della
sua fonte alimentare. La presenza di molti apparati radicali differenti
appartenenti a specie e famiglie diverse è quindi in generale uno
svantaggio per i nematodi e ciò fa ben pensare che le pratiche
dell’inerbimento, del sovescio, degli erbai intercalari e della
consociazione, siano un efficace metodo di contenimento del proliferare
di questo parassita nei suoli coltivati.
Non è pensabile l’eradicazione dei nematodi dal suolo, per
riuscire in tale impresa si dovrebbero adottare metodi e tecniche tali
da creare il cosiddetto vuoto biologico, vista la notevole resistenza
a fattori di aggressione esterna di questi organismi. Esistono però
soglie di tolleranza, ovvero una presenza accettabile che non causa alla
coltura un danno apprezzabile. In realtà i sintomi dell’attacco
di nematodi sono aspecifici e spesso assimilati a situazioni di generale
stanchezza del terreno o indebolimento della coltura: molte pratiche attuate
per far fronte alla stanchezza del suolo sono poi le stesse che andrebbero
a contrastare i nematodi stessi (ampliare le rotazioni, inserire colture
miglioratrici e sovesci, apportare letame,…).
Riguardo alle piante nematocide ricordiamo: Tagetes patula, Tagetes erecta,
Asparagus officinalis, Lantana camara, Crotalaria spectabilis, e alcune
essenze da sovescio ad azione repellente quali il rafano, la Brassica
napus e la senape. La tecnica del sovescio, come anche la consociazione
o l’inerbimento temporaneo svolgono una buona azione nel contenimento
dei nematodi, a patto che la permanenza delle piante copra almeno un arco
di 2-4 mesi. Questo va ricordato perché nella pratica intensiva,
tenere il terreno fermo per tanto tempo può incidere pesantemente
sul bilancio aziendale. Ma cercare compromessi quali apportare la massa
vegetale coltivata altrove, o impiegare essenze erbacee nematocide pellettate
non può essere paragonata alla permanenza della coltura vera e
propria nel suolo da bonificare.
Di marginale interesse è l’uso di piante trappola per la
distruzione massale dei nematodi. Alcune piante sono particolarmente appetite
dai nematodi perciò la tecnica consisterebbe nel seminare tali
piante e poi estirparle quando i nematodi siano penetrati nelle loro radici
e distruggerle. Vista la difficoltà nel monitorare i nematodi e
seguirne e il ciclo di sviluppo, spesso sfasato con sovrapposizioni di
cicli e generazioni, questa tecnica comporta più rischi che vantaggi.
Altro discorso è usare queste piante attrattive per monitoraggio,
ad esempio la pianta spontanea Solanum nigrum è fortemente attrattiva
per Globodera rostochiensis e Heterodera schachtii: effettuare periodicamente
controlli sulle radici di Solanum nigrum può consentire una valutazione
costante della soglia di infestazione.
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I
nematodi contano parecchi nemici naturali: funghi, batteri, insetti,
altri nematodi, virus,… Quanto più il terreno è
fertile e vitale e ricco di sostanza organica quanto più le
popolazioni di questi organismi utili saranno presenti e attive nel
contenere il dilagare di nematodi fitoparassiti. Tra i funghi maggiormente
attivi contro nematodi fitoparassiti ricordiamo: Artrobotrys oligospora,
Dactylella lysipaga, Dactylaria candida, Phialophora heteroderae,
Harposporium sp.p… Alcuni di questi sono parassiti obbligati,
altri invece vivono e colonizzano il suolo come saprofiti ma possono
trasformarsi in attivi predatori di nematodi quando se ne manifesti
l’opportunità.Particolarmente curiosi, questi funghi
sono in grado di costruire vere e proprie trappole con le proprie
ife, predisponendo una sorta di cappio nel quale intrappolano e catturano
i nematodi. Molte biofabbriche hanno messo a punto preparati a base
di funghi nematoparassiti acquistabili su lmercato e impiegabili in
azienda. Il loro impiego è comunque da considerarsi utile se
integrato in una strategia più ampia e a lungo termine che
preveda tutti quegli accorgimenti finora elencati, compresa la scelta
e l’impiego di varietà resistenti e tolleranti o addirittura
l’innesto di varietà di pregio ma estremamente sensibili
su piante resistenti. |
D’altronde impiegare
organismi utili di origine tellurica va considerato come una sorta di
ricolonizzazione del suolo e questo può avvenire solo se oltre
a immettere gli organismi si creano le condizioni favorevoli al loro insediamento
permanente. Ricordiamo comunque che si tratta soltanto di selezioni di
ceppi di organismi naturalmente presenti nei suoli agrari, certo sarebbe
meglio ripristinare i ceppi indigeni ma quando la situazione è
oltremodo compromessa non restano molte scelte.
Meccanismi di difesa che prevedano la sterilizzazione del suolo, sia con
mezzi di sintesi che con mezzi fisici (calore secco o umido) non si possono
mai dire completamente efficaci perché: creano un vuoto biologico
dove l’eventuale introduzione accidentale di un solo o pochi individui
parassiti potrebbero proliferare indisturbati; i meccanismi di resistenza
dei nematodi sono tali e tanti da non garantire la completa distruzione
di tutti gli individui presenti.
L’impiego di macerati, infusi, decotti o altri rimedi da spruzzo
possono agire schermando la coltura ospite ma la loro applicazione nel
suolo è difficoltosa richiedendo grandi volumi d’acqua e
applicazioni ripetute frequentemente. E’ possibile effettuare bagni
di radice sulle colture all’atto del trapianto con macerati di valeriana
o camomilla, ma anche questi hanno un effetto molto limitato nel tempo.
La vera lotta ai nematodi è di tipo preventivo e passa in primo
luogo dal ripristino di una buona fertilità organica e vitalità
del suolo agrario. Soltanto in questo modo le popolazioni microrganiche
indigene del suolo possono agire da controllo e contenimento delle popolazioni
di fitoparassiti. Estrema attenzione va poi fatta alla sanità del
materiale di moltiplicazione che si impiega. Discreta utilità per
piccole partite di bulbi e semi può avere la concia umida in acqua
calda, ricordando però che se le forme attive di nematodi vengono
inattivate da un moderato calore, le cisti sopravvivono anche oltre i
70°c.
Tale resistenza delle cisti pone un’ulteriore questione: i residui
colturali possono essere gettati nel cumulo? Se esiste la concreta possibilità
che il materiale vegetale sia infestato da nematodi è sempre meglio
distruggerlo separatamente. Le temperature che un cumulo in fase di compostaggio
sviluppa non sono tali da garantire la distruzione delle cisti. E’
però vero che l’intensa attività microrganica ed enzimatica
che si svolge nel cumulo è tale da costituire un attacco notevole
ai nematodi, sia di ordine chimico (i composti ammoniacali e nitrici sono
fortemente litici nei confronti delle cuticole delle cisti) sia di ordine
predatorio e parassitario. Per cui è vero che il cumulo ha un potenziale
altamente distruttivo nei confronti dei nematodi fitoparassiti ma è
anche vero che il compostaggio non è una scienza esatta, non sempre
i processi enzimatici procedono in maniera ottimale e non tutte le parti
del cumulo si riscaldano alla stessa maniera.
L’importanza del cumulo però non è da vedersi come
una sorta di trattamento dei residui pericolosi, come una sorta di digestore
nel quale smaltire ogni cosa, ma come uno strumento fondamentale per incrementare
e mantenere la fertilità e la vitalità del suolo stesso.
L’impiego di varietà tolleranti o resistenti è un’alternativa
valida purchè non se ne abusi. Infatti l’impiego di ibridi
resistenti sottopone i nematodi a una pressione di selezione che induce
nel tempo, al superamento delle resistenze. L’impiego di ibridi
tolleranti è per certi versi anche peggio perché le piante,
pur non manifestando sintomi violenti per l’attacco, forniscono
comunque sostentamento e nutrimento alle popolazioni di nematodi (cosa
che non fanno gli ibridi resistenti) che continuano quindi a proliferare
e ad aumentare esponenzialmente, stagione dopo stagione.
In conclusione ritengo che i principi dell’agricoltura biodinamica
che pongono la pianta quale antenna e punto di incontro e congiunzione
tra Cielo e Terra, siano la risposta più efficace al problema dei
nematodi fitoparassiti. Le forze celesti di formazione, sviluppo e maturità
quale contrappeso a un organismo profondamente terrestre e freddo, possono
influire fortemente sulla suscettibilità delle colture agrarie;
l’applicazione del 500, del 500p, del fladen, l’allestimento
e impiego del cumulo, la pratica dei sovesci, svolgono un’azione
fondamentale della rivitalizzazione del suolo e abbiamo visto quanto questa
sia importante per contrastare il sopravvento di popolazioni fitoparassite.
Ma in fondo non ci si può arrogare il diritto di chiamare propria
una tecnica piuttosto che un’altra e le etichette alla fine non
sono altro che etichette e l’unica differenza davvero reale è
quella tra buona e cattiva agricoltura.
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